SHOBHA

2018 WORKSHOP INDIVIDUALE

date » 01-10-2018 18:50

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Il paradosso dell'arte

Fin dai tempi più antichi il filo d'oro è il simbolo di un sapere che nasce dall'esperienza personale e che è libero dai condizionamenti istituzionali.
E' un filo perché rappresenta la continuità di un'esperienza sempre antica e sempre nuova, ed è esile perché in ogni generazione questa consapevolezza viene mantenuta da una minoranza di individui. Questo filo è d'oro perché è immortale.
Rimane sempre, anche nei periodi più caotici e oscuri, a volte più apparente, a volte più nascosto.

“Tradizione è una parola che deriva dal latino, l'equivalente indiano è Parampara, ma sia nell'uno che nell'altro caso, non ha mai indicato una dimensione statica. Tradizione significa “tramandare”, e Parampara indica il fluire da una persona all'altra, questo flusso non può mai essere un'entità immobile, non può essere rinchiuso in una forma limitata, una tradizione può sopravvivere solo se c'è allo stesso tempo una continuità e un cambiamento. Deve fluire secondo una certa direzione che è predeterminata, ma continua anche a fluire generando cambiamenti.

Oggi, nel mondo moderno, noi non riconosciamo a pieno la relazione che c'è fra lo studio e l'esperienza personale. Ci basiamo solo sull'intelletto e crediamo che la ricerca e gli studi siano cose che riguardano solamente la dimensione intellettuale.
Ma, io credo che all'origine ci debba essere un'intuizione che proviene da un livello irrazionale o se si vuole dal lato destro del cervello, che ha comunque radici che non sono razionali.
Tutti gli aspetti accademici sono necessari e bisogna conoscerli. Ma una volta che si sono sviluppate certe capacità intellettuali dobbiamo dimenticarle. Si deve usare l'intelletto come un ponte che poi dev'essere distrutto se si vuole arrivare a un risultato reale.

Nei Rig Veda si dice: “La verità è una ma si esprime in molti modi”. In India abbiamo 64 arti e tutte le attività che implicano un'abilità dal cucinare, alla poesia e così via, sono un'arte. Tutte le arti dell'India si sono sviluppate sulla base di questa visione dell'universo.

Che cosa costituisce l'arte? Che differenza c'è fra l'arte e la meditazione, o la contemplazione?
O la ricerca di svuotarsi di se stessi?
La principale condizione necessaria per l'arte, non è forse la capacità di trascendersi? Di trascendere il piccolo io? Perché non ci può essere arte se c'è un io e allo stesso tempo non ci può essere nessun'arte se non c'è un io in grado di esprimerla. Ritorniamo ancora una volta al problema dello strumento. Il creatore dev'essere annullato. O deve comunque rendersi conto che non esiste. Perché, se al centro c'è la personalità del creatore, non c'è arte. Ma se non c'è un creatore non ci può essere nessun' arte. Pertanto, penso che tutta l'arte che noi consideriamo tale emerge da questo vuoto che può essere chiamato pieno, è la stessa cosa.
Arriva certamente un momento in cui l'io limitato, l'ego, in riferimento al desiderio di asserire la propria individualità, deve essere trasceso. Questa esperienza è la base di ogni cosiddetta forma di espressione che può riguardare il campo della scienza, della metafisica, dell'arte. L'essenza dell'arte si esprime quando tutto questo scompare per poi ritornare come un dono gratuito, sia per l'artista che per il fruitore dell'arte.
L'arte, in India, non è mai stata separata dagli altri aspetti della vita o delle altre discipline.
Ogni arte è chiaramente distinguibile, una forma autonoma, ma vive solo se è collegata al tutto.
Nasce dalla vita e si sviluppa entro i suoi limiti ma tende all'universale e alla trascendenza.
Il tempo è ciclico e la fine è un ritorno all'inizio.

Se si ascolta una grande sinfonia come la Nona di Beethoven, per esempio, oppure certe composizioni di Vivaldi, da un punto di vista analitico si può parlare di note alte o basse, delle ottave, del contrappunto, dell'armonia, ma alla fine della Nona, specialmente dopo il terzo movimento, ciò che resta è solo un grande senso della meraviglia. Non ci si ricorda nemmeno più che si trattava di Beethoven, rimane solo una specie di eco nella nostra coscienza. Ecco che cos'è la meraviglia. Dostoevskij ha detto che la bellezza salverà il mondo, ma c'è anche il detto inglese per il quale la bellezza è nell'occhio di chi la contempla. Dobbiamo abbandonare l'idea che la bellezza sia un fatto che riguarda solo le forme esteriori. La bellezza offre la sensazione di una perfetta simmetria, anche nel caso in cui dal punto di vista strettamente geometrico esiste un' asimmetria, in essa l'interno e l'esterno, l'orizzontale e il verticale sono complementari. Ciò che esiste a livello macroscopico riflette il microscopico e viceversa. In questi casi, c'è un senso di bellezza. Una bellezza che è contenuta nelle forme ma che allo stesso tempo le trascende.”

Il funambolo
La cultura è la quintessenza della condizione umana, a livello individuale o collettivo, è ciò che resta anche quando tutto è stato perduto.
Avete mai visto sorridere un povero? Come s'illumina il suo volto? Quella è cultura. Avete mai visto una madre che magari non ha e non possiede nulla e che tuttavia riesce a comunicare il senso della bellezza alla figlia che sta crescendo?
La cultura non ha nulla a che fare con il divertimento e il lusso. Perciò, qualsiasi definizione moderna della cultura che affermi che essa è secondaria rispetto allo sviluppo economico, è una perversione.
La cultura è fondamentale, non può essere distinta da tutto ciò che è stato dato all'uomo per raffinare la propria sensibilità e per creare una relazione integrale fra il corpo, la mente e l'anima.


Kapila Vatsyayan
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